Cos’è il Parkinson.
La malattia di Parkinson (dapprima “morbo di Parkinson”, poi semplicemente “Parkinson”, dal cognome del neurologo inglese James Parkinson, che identificò il disturbo nel 1817 chiamandolo “Paralisi Agitante”) è una malattia neurodegenerativa caratterizzata dal danneggiamento di alcune cellule nervose (neuroni) di varie aree del cervello e soprattutto della cosiddetta “substantia nigra”.
Colpisce circa il 3 per mille della popolazione generale e circa l’1% di quella sopra i 65 anni.
Il Parkinson è stato chiamato in molti modi, da “Paralisi Agitante” a “morbo di Parkinson”, da “malattia di Parkinson” fino al colloquiale “Mr P.“.
Si tratta di una malattia neurodegenerativa caratterizzata dal progressivo danneggiamento di cellule cerebrali che producono un neutrotrasmettitore chiamato “dopamina”, necessario per la corretta gestione del movimento.
Chi soffre di Parkinson, infatti, ha difficoltà crescenti nel controllo dei movimenti del proprio corpo.
Lo specialista di riferimento di questa malattia è il neurologo.
La diagnosi è essenzialmente clinica e si basa sull’osservazione dei sintomi. Non esiste ancora un biomarker che evidenzi la presenza della malattia.
Per confermare la diagnosi, vengono poi effettuati alcuni esami, come la risonanza magnetica per escludere la presenza di un tumore benigno, la scintigrafia cerebrale che controlla il livello della dopamina, la spect cardiaca e la pet.
Recentemente sono stati scoperti dei marcatori specifici nella saliva che consentono di individuare la presenza della malattia di Parkinson prima che si sviluppino i sintomi.
Cause Parkinson.
Ci sono varie ipotesi sulle cause della malattia, ma ancora non ne è stata individuata una certa. I risultati più recenti, frutto di oltre dieci anni di ricerche, hanno messo in luce anche possibili cause genetiche e ambientali.
Recenti studi epidemiologici hanno mostrato una correlazione tra l’esposizione a fattori inquinanti, quali pesticidi e metalli pesanti, e la comparsa del Parkinson.
Altri studi hanno identificato una causa genetica nel 20% circa dei pazienti con familiarità positiva al Parkinson.
Una malattia ereditaria può essere trasmessa dai genitori ai figli attraverso i geni. Una malattia genetica può essere ereditaria o può essere causata da mutazioni casuali.
Il morbo di Parkinson è ereditario? Esiste un modo per testarlo?
Gli studi dimostrano che ci sono alcuni casi di Parkinson causati da mutazioni genetiche, mentre le cause ereditarie di questa malattia sono rare: solo il 15% dei malati di Parkinson ha avuto altri casi in famiglia.
Per il resto, le cause della malattia di Parkinson sono solitamente sconosciute.
La ricerca suggerisce che la causa sia una combinazione di fattori genetici e ambientali.
Punti chiave:
- È molto raro che il Parkinson si trasmetta per via ereditaria
- La maggior parte delle persone ha il cosiddetto “Parkinson idiopatico” (non esiste una causa nota)
- Per una piccola minoranza di persone con Parkinson esiste un legame genetico
Si tratta di una malattia neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso, provocando tremori (es. tremore alle gambe e tremori muscolari), movimenti lenti, problemi di equilibrio e rigidità. Di solito colpisce le persone più anziane, ma ci sono casi sempre più frequenti di Parkinson a esordio giovanile.
Quando e come si manifesta.
Oggi un paziente su 10 ha meno di 40 anni e uno su 4 ne ha meno di 50. Probabilmente il fenomeno è legato anche a una maggiore precisione nella diagnosi di Parkinson, che oggi viene spesso identificata in fase molto precoce.
Studi clinici ed epidemiologici indicano che l’inizio del danno cerebrale avviene mediamente almeno sei anni prima rispetto alla prima diagnosi.
La malattia non riguarda più solo le persone anziane ed emerge il tema del Parkinson giovanile: anche i pazienti giovani vanno incontro a invecchiamento precoce a causa della degenerazione fisica, degli effetti collaterali dei farmaci, nonché del progressivo ridursi dei rapporti sociali e delle attività.
Anche se la malattia di Parkinson non riduce significativamente l’aspettativa di vita, incide tuttavia sulla qualità di vita. A fronte di questo, la terapia AMPS permette di viverla con una migliore qualità.
Malattia di Parkinson: le fasi.
Il Parkinson è caratterizzato principalmente dalla fase perisintomatica e dalla fase sintomatica.
Generalmente, la fase perisintomatica è caratterizzata dalla perdita dei neuroni dopaminergici della substantia nigra. Non è chiaro quando cominci questa fase, né quale sia la percentuale di perdita dei neuroni dopaminergici.
È anche difficile stabilire con esattezza l’inizio della fase sintomatica e determinare i sintomi iniziali del Parkinson (alcuni sono talmente lievi che non rendono possibile una valutazione clinica).
La fase sintomatica si può classificare a sua volta in due parti: precoce e tardiva. La prima è caratterizzata dalla comparsa dei primi sintomi del Parkinson e solitamente dalla perdita di circa il 70% dei neuroni dopaminergici della substantia nigra. La seconda si riferisce alla progressione della patologia, quando i sintomi iniziano a diventare più importanti.
Ogni decorso di malattia è unico, infatti i sintomi motori primari variano da paziente a paziente.
Dati statistici interessanti:
- Il 70% dei casi presenta tremore a riposo, soprattutto chi soffre di Parkinson giovanile.
- La rigidità colpisce l’89-99% dei pazienti, la bradicinesia il 77-98% e i disturbi dell’equilibrio il 37%.
- Il 72-75% dei pazienti presenta l’esordio della malattia solo da un lato.
Vi sono pertanto diverse forme di Parkinson: alcune presentano tutti i sintomi cardinali e altre solo il tremore o l’acinesia e la rigidità.
Nel caso in cui il malato di Parkinson non venga sottoposto ad alcun tipo di trattamento, la progressione della malattia continua, tanto che Hoehn e Yahr l’hanno classificata in cinque stadi.
Compaiono i primi sintomi: spesso sono lievi e interessano solo un lato del corpo.
La maggior parte delle volte compare il tremore a carico degli arti superiori a riposo e si ha una riduzione della loro funzionalità. Compaiono acinesia, una leggera rigidità e problemi nei movimenti alternati rapidi e nella destrezza delle dita. Si ha un rallentamento dei movimenti e della ripetizione.
La scrittura risulterà tremolante e difficoltosa nei tratti tondeggianti. Si possono anche verificare una riduzione dell’espressione facciale e, alcune volte, seborrea frontale.
I sintomi iniziano a comparire in entrambi i lati del corpo. La postura diventa rigida e il tronco e gli arti sono leggermente flessi.
Inizia a comparire la bradicinesia, ossia il rallentamento graduale di tutti i movimenti. Spesso si manifesta anche una depressione reattiva.
I sintomi si traducono in grossi problemi del cammino che invalidano il malato e compare una retropulsione o propulsione.
C’è un ulteriore peggioramento dei riflessi posturali e il cammino diventa quello tipico dei parkinsoniani, con passi corti e affrettati e il tronco inclinato in avanti. La deambulazione e la bradicinesia si aggravano, mentre la retropulsione e la propulsione aumentano il rischio di cadute.
In questo stadio, si può aver bisogno di aiuto per compiere alcune azioni.
Elevata inabilità. Si ha bisogno di assistenza costante non essendo più in grado di svolgere le attività quotidiane e di vivere da soli.
Le cadute sono molto frequenti e il controllo dei movimenti risulta spesso difficile o impossibile.
Completa invalidità. Non si riesce più né a camminare, né a reggersi in piedi mantenendo una posizione eretta. Quando ci si sdraia, si rimane in posizione supina e immobile, con la testa piegata leggermente verso il tronco.
La bocca è costantemente aperta a causa della disfagia e dei problemi di deglutizione spontanea. Compaiono spesso disidratazione e cachessia a causa dei problemi nel mangiare.
C’è un alto pericolo di infezione a causa della ridotta escursione toracica e dell’inefficacia del riflesso della tosse, per la vescica neurologica e per la costante costrizione a letto.
Questo quadro clinico si riferisce ad un malato di Parkinson non sottoposto ad alcun trattamento farmacologico.
Parkinsonismo e sindromi di Parkinson plus.
Il parkinsonismo si riferisce a un gruppo di disturbi neurologici che causano problemi di movimento simili a quelli della malattia di Parkinson, come tremori, movimenti lenti e rigidità.
All’inizio del processo patologico, è spesso difficile distinguere tra Parkinson idiopatico (di origini sconosciute) e parkinsonismo.
I parkinsonismi, noti anche come Parkinson atipico o Parkinson Plus, rappresentano circa il 10-15% dei casi diagnosticati come Parkinson. Queste sindromi tendono a progredire più rapidamente della malattia di Parkinson, presentano ulteriori sintomi come caduta precoce, demenza o allucinazioni e non rispondono, o rispondono solo per un breve periodo, alla terapia con levodopa farmaco.
Vengono chiamate sindromi “atipiche” perché di solito differiscono dalla malattia di Parkinson per alcuni aspetti:
- solitamente non c’è tremore
- le due parti (destra e sinistra) sono generalmente colpite allo stesso modo
- la risposta a L-Dopa e agli altri farmaci per Parkinson non è molto buona
- la stimolazione cerebrale profonda (DBS) non ha alcun effetto
In fase precoce, i parkinsonismi vengono trattati come il Parkinson, perché non esistono trattamenti specifici. A volte rispondono ugualmente ai farmaci, ma la risposta non è buona come lo è in caso di Parkinson.
Altri sintomi del parkinsonismo sono: disturbi dei movimenti oculari, “atassia” dell’andatura (camminata ampia), distonia (posture anormali), gravi problemi con bassa pressione sanguigna in piedi o cambiamenti sull’esame neurologico che vengono rilevati dal neurologo solo sotto forma di riflessi anormali.
Tuttavia, molti problemi causati dai parkinsonismi sono gli stessi causati dalla malattia di Parkinson: lentezza, difficoltà nei movimenti, problemi di equilibrio, problemi di linguaggio e cadute. Per questo motivo, spesso è difficile attribuire un nome corretto alla patologia. Allo stesso tempo, a volte mancano alcuni sintomi chiave per una corretta diagnosi clinica.
Molte persone non mostrano i sintomi cardinali necessari per la diagnosi di un disturbo specifico e i loro sintomi sono etichettati come “parkinsonismo”.
Alcuni farmaci possono causare parkinsonismo. I farmaci neurolettici (usati per trattare schizofrenia e altri disturbi psicotici), che bloccano l’azione della dopamina chimica nel cervello, sono considerati la causa principale del parkinsonismo indotto da farmaci.
Può essere difficile distinguere il parkinsonismo indotto da farmaci dal Parkinson, sebbene i tremori e l’instabilità posturale possano essere meno gravi. Di solito si tratta dell’effetto collaterale dei farmaci che influenzano i livelli di dopamina nel cervello, come gli antipsicotici, alcuni bloccanti dei canali del calcio e stimolanti come anfetamine e cocaina.
Il parkinsonismo indotto da farmaci colpisce solo un piccolo numero di persone e la maggior parte si riprende in pochi mesi – e spesso entro pochi giorni o settimane – dalla sospensione del farmaco che lo causa.
I sintomi di questo tipo di parkinsonismo tendono a rimanere gli stessi nel tempo.
La PSP, chiamata anche sindrome di Steele-Richardson-Olszewski è un po’ più comune della SLA. I primi sintomi si manifestano di solito intorno ai 60 anni e i più comuni includono la perdita di equilibrio mentre si cammina, episodi di perdita di memoria e cambiamenti di personalità.
I problemi visivi associati alla PSP si verificano generalmente dopo i problemi di deambulazione e comportano l’incapacità di osservare correttamente un punto con gli occhi.
Chi soffre di PSP potrebbe rispondere al trattamento dopaminergico ma allo stesso tempo richiedere dosi più elevate rispetto ai malati di Parkinson.
MSA (nota anche come sindrome di Shy-Drager) indica un gruppo di disturbi in cui uno o più parti del corpo smettono di funzionare. Il sistema nervoso autonomo spesso è gravemente colpito già dalle prime fasi della malattia.
I sintomi includono problemi alla vescica con frequente e impellente necessità di minzione, difficoltà di urinare o al contrario incontinenza e ipotensione ortostatica (nOH).
Negli uomini, il primo segno potrebbe essere la perdita della funzione erettile. Altri sintomi includono disturbi del linguaggio, difficoltà di respirazione e deglutizione e incapacità di sudare.
Come nel Parkinson, nelle prime fasi la MSA può causare rigidità e lentezza di movimento.
Come negli altri parkinsonismi, i sintomi della MSA non rispondono molto, o non rispondono affatto, ai farmaci per Parkinson.
Il parkinsonismo vascolare (noto anche come parkinsonismo arteriosclerotico) colpisce le persone con limitato afflusso di sangue al cervello.
Chi ne soffre tende ad avere più problemi col cammino che col tremore e ha maggiori disturbi nella parte inferiore del corpo.
Questo tipo di parkinsonismo progredisce molto lentamente rispetto agli altri tipi.
I sintomi possono comparire improvvisamente o gradualmente. Quelli comuni includono problemi di memoria, sonno e umore e disturbi del movimento.
Il DLB è la seconda causa più comune di demenza negli anziani dopo l’Alzheimer e provoca un progressivo deterioramento intellettuale e funzionale.
Oltre ai sintomi della malattia di Parkinson, le persone con DBL tendono ad avere frequenti cambiamenti nelle capacità di pensiero e nel livello di attenzione e allucinazioni visive.
Di solito non hanno tremore oppure lo hanno in forma leggera.
I sintomi parkinsoniani possono rispondere o meno alla levodopa.
Il CBD è il parkinsonismo atipico meno comune. Si sviluppa di solito dopo i 60 anni e i sintomi includono una perdita di funzionalità su un lato del corpo, movimenti involontari e a scatti di un arto e problemi nel parlare.
Al momento non esiste un trattamento specifico per la CBD.
L’idrocefalo a pressione normale colpisce principalmente la metà inferiore del corpo.
I sintomi comuni sono: difficoltà nel camminare, incontinenza urinaria e problemi di memoria.
Nel breve termine, la rimozione di alcuni liquidi cerebrospinali attraverso un ago nella parte bassa della schiena potrebbe essere d’aiuto. Se dopo questa procedura c’è un miglioramento, un’operazione per deviare il liquido spinale potrebbe aiutare a lungo termine.
Diagnosi Parkinson.
Non esiste un test definitivo per rilevare il Parkinson o il parkinsonismo.
La diagnosi viene fatta dai medici attraverso un’analisi della cartella clinica del paziente ed eventuali test di movimento.
A causa della natura principalmente clinica della diagnosi, il Parkinson può essere confuso con un parkinsonismo e la diagnosi potrebbe essere rivista nel tempo in base alla velocità di progressione della malattia, alla risposta ai farmaci e ad altri fattori.
Tutti i parkinsonismi presentano una perdita di dopamina, quindi il DatScan non può essere usato per riconoscere se si tratta di Parkinson o di Parkinson atipico.
Bisognerebbe recarsi presso un neurologo specialista in Parkinson per la diagnosi di qualsiasi parkinsonismo.
Individuare la differenza tra i tipi di parkinsonismo non sempre è facile:
- i primi sintomi delle diverse forme di parkinsonismo sono molto simili
- i sintomi che consentono al medico di effettuare una diagnosi specifica possono comparire solo con il progredire della condizione
Tutti i parkinsonismi sono diversi e hanno sintomi diversi.
Il trattamento del Parkinson può andare bene anche per alcuni aspetti dei parkinsonismi, come per esempio la terapia dopaminergica (il trattamento di prima linea per il Parkinson).
Un regolare programma di esercizi è cruciale per mantenere il tono muscolare, la forza e la flessibilità.
Altri trattamenti comuni sia per il Parkinson che per il parkinsonismo comprendono la fisioterapia, la terapia occupazionale e della parola, gli antidepressivi e la tossina botulinica (Botox) per la distonia. Gli operatori sanitari mirano a trattare i sintomi che influenzano maggiormente la qualità della vita.
Uno dei test più utili per individuare una forma specifica di parkinsonismo consiste nello scoprire la reazione al trattamento farmacologico.
Se il medico pensa che il paziente abbia il Parkinson idiopatico, si aspetterà una buona risposta ai farmaci come la levodopa (co-careldopa o co-beneldopa). Una buona risposta si traduce in un miglioramento dei sintomi.
A volte, la risposta ai farmaci è chiara solo quando il farmaco viene ridotto o interrotto e i sintomi tornano ad essere più evidenti.
Se si hanno sintomi insoliti e nessuna risposta ai farmaci per Parkinson, questo non significa automaticamente che si ha un’altra forma di parkinsonismo, ma è probabile che il neurologo voglia rivalutare la diagnosi.
In questo caso, il medico potrebbe usare termini come “parkinsonismo atipico” o “Parkinson plus”: non si tratta di una diagnosi ma significa che probabilmente si ha qualcos’altro oltre al Parkinson.
Sintomi del Parkinson.
La malattia è caratterizzata da tre sintomi classici: tremore, rigidità e lentezza dei movimenti (bradicinesia). A questi sintomi si associano problemi di equilibrio, cifosi (postura curva), andatura impacciata, blocchi improvvisi di movimento (freezing della marcia – freezing Parkinson) e, in fase avanzata, acinesie (assenza totale di movimento).
Sintomi precoci minori sono: diminuzione del senso dell’olfatto, alterazioni della grafia (si miniaturizza progressivamente), variazioni della voce (diventa flebile e monotona), sguardo fisso, viso inespressivo.
Il tremore è un disturbo del movimento ipercinetico, caratterizzato da oscillazioni ritmiche di una o più parti del corpo. Può essere disabilitante e può compromettere la qualità della vita.
Tra i vari tipi di tremore, ci sono il tremore essenziale e il tremore parkinsoniano.
Sebbene sia uno dei sintomi classici della malattia, non è il più significativo: il 30% dei pazienti non ne soffre.
La maggior parte degli studi riguarda il tremore essenziale e solo pochi sono focalizzati su altre forme.
Il tremore essenziale (a volte chiamato anche benigno) è la forma più comune e spesso può essere scambiato per quello parkinsoniano.
Per alcune persone può essere lieve e stabile per un lungo periodo, mentre per altre può essere lentamente progressivo, partendo da un solo lato del corpo e finendo per interessare entrambi i lati in pochi anni.
Le mani sono le più colpite, ma il tremore può anche coinvolgere, in genere in misura minore, testa, voce, lingua, gambe e tronco.
Il tremore parkinsoniano è causato da un danneggiamento di strutture del cervello che controllano il movimento. Di solito compare a riposo, quando ad esempio le mani sono abbandonate in grembo, e scompare quando si compie un movimento.
Si può verificare come sintomo isolato o insieme ad altri disturbi. È spesso il primo sintomo della malattia di Parkinson (oltre il 25% dei pazienti con malattia di Parkinson ha un tremore associato ad un’azione).
Il tremore distonico si verifica in persone di ogni età affette da distonia, un disturbo del movimento che comporta contrazioni muscolari involontarie.
Può colpire qualsiasi muscolo del corpo e compare più spesso quando il paziente è in una certa posizione o si muove in un certo modo.
Si verifica in modo irregolare e spesso può essere alleviato dal riposo completo. Il tremore può essere il segno iniziale di distonia localizzata in una particolare parte del corpo.
Il tremore distonico degli arti può rispondere agli anticolinergici.
La tossina botulinica migliora il tremore della testa e della voce.
Il tremore ortostatico è caratterizzato da contrazioni muscolari ritmiche nelle gambe e nel tronco e viene percepito di solito come instabilità. Non ci sono altri segni o sintomi clinici, e l’instabilità cessa quando ci si trova sollevati da terra o si inizia a camminare.
Per questo tipo di tremore sono spesso raccomandati gabapentin e clonazepam.
Questo tipo di tremore risponde poco al trattamento farmacologico. Per i pazienti con una grave forma, viene raccomandata la stimolazione cerebrale talamica.
Diverse sindromi da tremore possono già essere trattate con successo, ma sono necessari nuovi farmaci specifici.
Al pari del tremore, la lentezza dei movimenti è uno dei sintomi più importanti.
Spesso i pazienti parlano di debolezza muscolare e difficoltà nei movimenti quotidiani, insieme alla sensazione di essere impacciati, insicuri e di stancarsi più facilmente. Parlano inoltre di una maggiore difficoltà nel muoversi con la solita velocità, come se il braccio o la gamba fossero “legati” e rigidi.
La postura tende ad ingobbirsi in avanti e i movimenti pendolari delle braccia e la lunghezza dei passi a ridursi. Si presenta spesso il fenomeno della “festinazione”: passi sempre più veloci e corti fino a non riuscire più a muovere i piedi.
A partire dagli stadi intermedi della malattia, possono verificarsi blocchi motori improvvisi, chiamati freezing della marcia o freezing Parkinson.
In molti casi, il freezing è un sintomo che è anche indotto dall’uso cronico di agonisti della dopamina, uno dei farmaci principali per il trattamento della malattia di Parkinson.
Festinazione e freezing causano cadute e talvolta un’inabilità nello svolgimento delle normali attività quotidiane.
Soffrire di Parkinson significa anche avere rigidità e dolori muscolari (nel 46% dei pazienti), problemi nel movimento, perdita di equilibrio e stabilità.
I problemi di equilibrio si manifestano nelle fasi intermedie e avanzate della malattia di Parkinson. Con l’evolvere della patologia, inizia la perdita di equilibrio e si perde progressivamente la capacità di correggere automaticamente la postura.
Nelle fasi più avanzate della malattia, il 20-25% dei pazienti può avere un decadimento cognitivo simile a demenza (si parla di Parkinson demenza), con problemi psichici come confusione mentale o allucinazioni.
Altre conseguenze non motorie sono la depressione (più frequente nelle donne e in chi sviluppa il Parkinson prima dei 50 anni), la stipsi e l’insonnia.
L’iposmia (ridotta sensibilità olfattiva che rende anche i cibi senza sapore) e l’ipotensione ortostatica (sbalzo pressorio quando da seduti ci si alza in piedi) possono essere sintomi precoci del Parkinson.
Il 70% dei parkisnoniani è colpito, a volte anni prima dell’esordio della malattia, da iposmia, un sintomo che deve essere considerato un campanello d’allarme.
Anche la stipsi, se resistente a qualsiasi trattamento e senza una causa apparente, può essere considerato un sintomo precoce del Parkinson.
In tutti questi casi, la visita specialistica neurologica può aiutare a fare chiarezza.
Il 25% dei malati di Parkinson non sa di esserlo perché i sintomi sono minimi e possono essere confusi con quelli di altre malattie, per cui spesso non si ottiene una diagnosi corretta, soprattutto nei pazienti tra i 40 e i 50 anni.
Per esempio, la rigidità di un arto può essere attribuita ad un’infiammazione articolare, ai reumatismi, alla postura scorretta, mentre può trattarsi invece dei sintomi iniziali del Parkinson.
È importante considerare la manifestazione iniziale dei sintomi del Parkinson indipendentemente dalla giovane età, soprattutto quando gli esami clinico-diagnostici non forniscono risposte o conferme di altre patologie.
Cura Parkinson.
A chi rivolgersi e quando? Ogni paziente dovrebbe affidarsi ad un neurologo specializzato in disturbi del movimento fin dalle fasi iniziali della malattia.
Non esiste una vera cura, ma ci sono varie terapie per trattare i sintomi. Ricorrere alle giuste terapie fin dai primi sintomi del Parkinson consente di rallentare la progressione della malattia, con una miglior qualità della vita rispetto a chi inizia le terapie tardivamente.
Terapia Parkinson.
Il trattamento della malattia di Parkinson pone in primo piano la terapia farmacologica, ma negli ultimi anni sono stati sviluppati anche diversi approcci chirurgici e terapie basate sulla riabilitazione come l’AMPS (Automated Peripheral Mechanical Stimulation), erogata attraverso il dispositivo medico per il Parkinson GONDOLA®.
I farmaci possono aiutare a ridurre i sintomi del Parkinson. Le terapie sono solo sintomatologiche e non consentono né di interrompere il decorso della malattia né di guarire.
Ogni paziente risponde in modo diverso alla terapia Parkinson.
La malattia di Parkinson causa una carenza di dopamina. La L-DOPA, il farmaco precursore della dopamina, è in grado di giungere al cervello ed esercitare la propria attività terapeutica.
Terapia Farmacologica.
Oltre alla L-DOPA (che rimane il farmaco più efficace per il Parkinson), si utilizzano anche gli agonisti della dopamina, gli inibitori MAO, i catecol o-metiltransferasi, gli anticolinergici ed i bloccanti del glutammato.
È compito del medico identificare e prescrivere il principio attivo più indicato per il paziente, e definirne la relativa posologia, in base allo stadio della malattia, ai sintomi del paziente, ed alla sua risposta al trattamento identificato:
Levodopa (es. Madopar®, Sinemet®, Stalevo® = Sinemet + Entacapon, Duodopa® = L-Dopa + Carbidopa Gel): è il farmaco più utilizzato per il Parkinson, oltre ad essere il più efficace per trattare i sintomi. Assunto per via orale, può oltrepassare la barriera emato-encefalica e trasformarsi in dopamina, dopo aver raggiunto il cervello.
La L-Dopa è reperibile in associazione ad altri principi attivi, ad esempio con carbidopa ed entacapone (es. Levodopa/Carbidopa/Entacapone orion): la carbidopa impedisce che la L-Dopa si trasformi in dopamina prima di aver raggiunto il cervello.
La posologia deve essere adeguata nel corso dell’avanzamento della malattia poiché è una caratteristica di questo farmaco la perdita progressiva di efficacia terapeutica.
Tra gli effetti collaterali più frequenti ci sono i movimenti involontari (discinesie) e l’ipotensione ortostatica, che causa sincopi e cadute.
Agonisti della dopamina (dopaminergici): sono farmaci che non agiscono come la L-Dopa, cioè non vengono convertiti in dopamina nel cervello, ma imitano gli effetti della dopamina, stimolando i neuroni.
L’utilizzo di questi farmaci nel Parkinson non mostra efficacia a lungo termine.
Inoltre, possono avere importanti effetti collaterali: allucinazioni, ipotensione ortostatica, ritenzione idrica e sonnolenza; sono inoltre causa di comportamenti ossessivo-compulsivi come ipersessualità, gioco d’azzardo e comportamento alimentare compulsivo. (Bromocriptina: Parlodel®, Cabergolina: Cabaser®, Diidroergocriptina: Cripar®, Pergolide: Permax®, Pramipexolo: Sifrol®, Ropinirolo: Requip®, Rotigotina: Neupro®)
Pramipexolo (es. Mirapexin, Pramipexole Teva, Oprymea, Pramipexole Accord).
Apomorfina (es. Apofin): è un agonista della dopamina utile per dare un veloce sollievo in caso di blocchi motori.
Inibitori delle monoaminossidasi (I-MAO): servono per prevenire la disgregazione della dopamina naturale (quella sintetizzata dall’organismo) e quella assunta sottoforma di L-Dopa. Hanno seri effetti collaterali, quali allucinazioni, confusione, cefalea, vertigini.
Selegilina (es. Egibren, Jumex, Seledat).
Rasagilina (es. Azilect): bloccando l’enzima monoaminoossidasi-B (responsabile della degradazione della dopamina nel cervello), questo farmaco aiuta a ridurre la rigidità e la lentezza dei movimenti.
Catecol o-metiltransferasi: sono farmaci usati per prolungare l’effetto della levodopa-carbidopa, interagiscono bloccando l’enzima che distrugge la levodopa.
Entacapone (es. Comtan, Entacapone Teva): è un farmaco assai utilizzato in associazione a levodopa e carbidopa (es. Levodopa/Carbidopa/Entacapone Orion). Può provocare confusione, discinesia ed allucinazioni.
Tolcapone (es. Tasmar): potente farmaco, richiede monitoraggio dei possibili danni al fegato che possono derivare dal suo utilizzo. Viene generalmente prescritto ai pazienti che non rispondono alle altre cure.
Rivastigmina (es. Rivastigmina Teva, Nimvastid, Prometax, Rivastigmina Actavis): è un farmaco inibitore reversibile dell’acetilcolinesterasi.
Farmaci Anticolinergici: servono per il controllo dei sintomi associati al Parkinson (soprattutto tremore). Va valutato l’effetto terapeutico (riduce il tremore) in relazione agli effetti collaterali, quali alterazione della memoria, confusione, compromissione della minzione, secchezza delle fauci, secchezza oculare.
Benztropina (es. Cogentin).
Triexifenidile o Triesifenidile (es. Artane).
Farmaci bloccanti del glutammato: vengono usati principalmente per il trattamento dei sintomi iniziali del Parkisnon.
Amantadina (es. Mantadan): è un agonista della dopamina piuttosto debole, con effetti modesti: dà sollievo a tremore e rigidità, ma può generare tolleranza, confusione ed allucinazione.
Inibitori della MAO-B (Inibitore enzimatico): Selegilina: Jumexal®, Selegilin-Helvepharm®, Selegilin-Mepha®, Rasagilina: Azilect®
Trattamenti chirurgici Deep Brain Stimulation (DBS).
La stimolazione cerebrale profonda (DBS) è una procedura neurochirurgica introdotta nel 1987, che consiste nell’impiantare un dispositivo medico chiamato neurostimolatore (talvolta indicato come un ‘pacemaker cerebrale‘), che invia impulsi elettrici, attraverso elettrodi impiantati, a specifiche aree del cervello, per il trattamento di movimento e disturbi neuropsichiatrici.
La stimolazione di determinate regioni del cervello ha dato benefici per alcuni disturbi che non rispondono bene ad altre terapie nel morbo di Parkinson, tremore essenziale, distonia, dolore cronico, la depressione maggiore e disturbo ossessivo-compulsivo. Nonostante la lunga storia della DBS ancora non sono chiari i meccanismi base di questa terapia. La DBS cambia in maniera controllata l’attività cerebrale e gli effetti sono reversibili.
La Food and Drug Administration (FDA) ha approvato la DBS come trattamento per il tremore essenziale e il morbo di Parkinson nel 1997, per la distonia nel 2003 e per il disturbo ossessivo-compulsivo nel 2009. La DBS è utilizzato anche in studi di ricerca per il trattamento cronico il dolore, PTSD (disturbo post traumatico da stress) ed è stato utilizzato per il trattamento di vari disturbi affettivi, tra cui la depressione maggiore; ma nessuna di queste ultime applicazioni di DBS sono ancora state approvate dalla FDA.
Anche se la DBS si è dimostrata efficace per alcuni pazienti, è un intervento molto rischioso che comporta la possibilità di gravi complicanze ed effetti collaterali.
Il sistema di stimolazione cerebrale profonda è costituito da tre componenti: il generatore di impulsi impiantato (IPG), il piombo, e l’estensione.
- L’IPG è un neurostimolatore a batteria racchiuso in un involucro di titanio, che invia impulsi elettrici in determinate regioni del cervello in modo da interferire con l’attività neuronale di quella specifica area.
- Il piombo è un filo a spirale coibentato in poliuretano con quattro elettrodi di platino iridio ed è posto in uno o due nuclei del cervello.
- Il cavo è collegato all’IPG dall’estensione, un filo isolato che scorre sotto la pelle, dalla testa, lungo il lato del collo, dietro l’orecchio fino all’IPG, che è posto sottopelle sotto la clavicola o, in alcuni casi , l’addome.
- L’IPG può essere calibrato da un neurologo, infermiere o tecnico per ottimizzare la soppressione e il controllo degli effetti collaterali.
- I cavi DBS sono collocati nel cervello in funzione del tipo di sintomi da affrontare. Per la distonia e sintomi associati al morbo di Parkinson (rigidità, bradicinesia / acinesia, e tremore), il cavo viene solitamente posizionato nel globo pallido o nel nucleo subtalamico.
Tutti e tre i componenti sono impiantati chirurgicamente all’interno del corpo. L’impianto di piombo può avvenire sia in anestesia locale che in anestesia totale, come per la distonia. Durante l’operazione viene fatto un buco nel cranio di un diametro di circa 14 mm e l’elettrodo viene inserito attraverso la stereotassia. Per la procedura in anestesia locale, i feedback del paziente vengono utilizzati per determinare il posizionamento ottimale dell’elettrodo.
La DBS non cura il morbo di Parkinson, ma può aiutare nella gestione di alcuni dei suoi sintomi e , di conseguenza, migliorare la qualità della vita del paziente. Allo stato attuale, la procedura viene utilizzata solo per i pazienti i cui sintomi non rispondono più adeguatamente ai farmaci o nel caso questi provochino gravi effetti collaterali.
Il suo effetto sulla fisiologia delle cellule del cervello e dei neurotrasmettitori è attualmente molto discusso, ma attraverso l’invio di impulsi elettrici d’alta frequenza in specifiche aree del cervello si possono attenuare i sintomi e diminuire gli effetti collaterali indotti dai farmaci del Parkinson, permettendo una diminuzione di farmaci, o seguire un regime terapeutico più tollerabile.
L’aree stimolate dalla DBS variano in base al disturbo da trattare, ogni paziente, perciò, deve essere valutato individualmente e verrà scelto di stimolare una determinata regione in base alle loro esigenze. Solitamente, le due aree più comuni sono il nucleo subtalamico (STN) e il globo pallido interna (GPI), ma si stanno valutando anche altre zone del cervello, come l’incerta zona caudale e le fibre pallidofugal mediale al STN, che sembrano essere promettenti.
La DBS è un operazione molto complessa che comporta grandi rischi, con complicanze legate anche all’esperienza del team chirurgico. Le complicazioni principali includono emorragia (1-2%) e infezione (3-5%).
La riabilitazione nel Parkinson.
Uno stile di vita sano e un adeguato esercizio fisico consentono di gestire al meglio la malattia di Parkinson.
Studi clinici hanno mostrato come l’esercizio fisico, supportato da terapie di riabilitazione mirate, consenta di migliorare i sintomi del Parkinson rallentando anche il decadimento fisico.
Le terapie Parkinson risultano efficaci se sono costanti nel tempo.
La progressiva perdita delle capacità motorie può causare effetti collaterali: il minor movimento porta ad una progressiva riduzione del tono muscolare e delle condizioni generali; la progressiva perdita di autonomia può generare perdita di autostima e fenomeni depressivi; il ridotto equilibrio e i problemi di freezing Parkinson e festinazione causano cadute.
Nelle persone con Parkinson, la riabilitazione fisica rappresenta quindi un elemento fondamentale per il mantenimento di una buona condizione fisica.
Tra le terapie riabilitative sviluppate negli ultimi anni, quella che recentemente ha ottenuto la maggiore attenzione da parte dei medici è la terapia AMPS.