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Parkinson e Ictus con GONDOLA, il dispositivo per i disturbi del movimento.

Il nostro movimento ha origine dall’interazione tra cervello, nervi e muscoli. Quando ci sono interruzioni o problemi di comunicazione si generano i disturbi del movimento, come difficoltà del cammino e blocchi motori.

Il movimento nel corpo umano: come funziona

L’attività del nostro cervello è basata sul movimento di neuroni; fin dalla nascita acquisiamo informazioni che ci portano a sviluppare una cognizione sulla base della quale si sviluppano dei movimenti, che col tempo diventano automatici. Soltanto pensare di riuscire ad alzare un braccio, aprire una mano e chiuderla, implica il 15% del nostro sforzo cerebrale. Il nostro cervello è una macchina quasi perfetta, dove ciascun’area ha una funzione ben precisa. Se un paziente è particolarmente rallentato o scoordinato potrebbe esserci qualcosa a livello cerebrale che non funziona: qualcosa nell’interazione tra cervello, nervi e muscoli non sta andando come dovrebbe. Nel movimento vengono coinvolte più aree tra queste ci sono:

  • l’area premotoria: che serve ad anticipare i movimenti
  • l’area visuo-spaziale: che ci dice “quanto siamo grandi”, ossia quanto spazio abbiamo attorno, quindi se in quello spazio possiamo compiere un determinato movimento

Come sta cambiando la neuroriabilitazione

Il compito del riabilitatore fino a oggi era quello di provare a capire come utilizzare le aree di compenso delle aree danneggiate in modo da portare un miglioramento alla qualità di vita dei pazienti. Normalmente per muoversi vengono usate le aree motorie, ma nel paziente parkinsoniano per compensare il loro danneggiamento vengono usate le aree volontarie comportando un grosso sforzo da parte del paziente che dichiara di “camminare come se avesse dei macigni ai piedi”.

Infatti le aree di compenso sono solo un espediente per aggirare i disturbi del movimento e non sono sufficienti a ridare la giusta autonomia ai pazienti, quindi sono stati condotti studi per trovare una via che agisse direttamente sulle aree del movimento.

Fino a 20 anni fa si credeva che il comando del nostro corpo ce l’avesse completamente il cervello, il sistema cerebrale centrale. Se sorgeva un problema a livello centrale si pensava che non si potesse avere miglioramento se non andando ad agire chirurgicamente direttamente su di esso. Mentre ai giorni nostri è stato possibile osservare che il sistema cerebrale periferico, se stimolato in un certo modo, riesce a mandare un impulso al cervello in grado di attivare alcune aree coinvolte nel movimento generando un miglioramento dei disturbi motori che dura dai 3 ai 5 gg.

Anni di studio per trovare una terapia neuroriabilitativa

All’inizio c’è stata una fase osservazionale perché c’era bisogno di mettere in campo qualcosa di diverso. Ricostruendo la mappatura del cervello e delle periferie, studiando i fenomeni sulle aree motorie del nostro paziente, analizzando quali periferie non muovevano più, è stato possibile osservare che alcune aree motorie erano completamente ferme. Questo accade perché il cervello avendo poca energia preferisce conservarla per movimenti più vitali, come il battere del cuore e la respirazione, abbandonando quasi completamente l’estremità (mani e piedi). Le periferie ricevevano lo stimolo ma questo non riusciva ad arrivare al cervello. La ricerca è stata molto empirica, sono stati provati vari stimoli ed elaborate varie ipotesi, per esempio è stato preso in considerazione potesse essere il dolore a riattivare le aree motorie inattive del cervello. Col tempo però è stato osservato che una stimolazione dolorosa creava anzi una ritrazione, quindi il cervello non riusciva a immagazzinare questa informazione.

Lo stimolo che riattiva le aree motorie

Dopo vari tentativi è stato individuato, anche attraverso l’osservazione tramite tac, il giusto stimolo che riuscisse ad arrivare al cervello e riattivasse le aree coinvolte nel movimento: area premotoria, area visuspaziale e gangli della base. Inoltre questa stimolazione in due punti dei piedi, erogata dal dispositivo medico Gondola, non solo riaccende le aree ma il cervello riesce ad acquisire l’informazione e mantenerla per qualche giorno (da 2 a 5 gg). Non si tratta ovviamente di una cura, ma di una terapia da affiancare alle altre: farmaci, riabilitazione ed eventualmente DBS.

Gondola non ha sconfitto il Parkinson ma ha migliorato in maniera evidente la qualità di vita dei pazienti parkinsoniani.

Alcuni dei nostri pazienti (malati di parkinson) che utilizza il dispositivo Gondola da più di 8 anni continua a usarlo con ottimi risultati, dimostrando che col tempo non si crea assuefazione. Inoltre il 95% dei pazienti che usa il device da almeno 3 anni non ha dovuto aumentare la terapia farmacologica, mantenendola stabile.

ICTUS e trattamento Gondola

La terapia con Gondola sta dimostrando benefici anche sui pazienti ictus stabilizzati. Successivamente a un episodio di ictus, al paziente vengono diagnosticati 6 mesi di recupero, ossia un periodo durante il quale grazie a una buona riabilitazione può recuperare le capacità motorie danneggiate dall’episodio ischemico. Dopo questi mesi il paziente viene definito “stabilizzato” e si dovrà concentrare principalmente sul mantenimento dei miglioramenti ottenuti nel periodo di riabilitazione.

Gondola si sta dimostrando efficace proprio nel migliorare il movimento nei pazienti stabilizzati che hanno subìto un evento ischemico da più di 6 mesi, migliorando la loro velocità di cammino e diminuendo la spasticità.

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